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Vetrina del mese: NOVEMBRE 2024    
     

 

     

MASCHERA BIANCA

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NELLO STUDIO RIVIERA 32

     
     

PESCE PLASTICA

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Sul cavalletto "Rottame dorato"

     

 

FINALISTA DEL PREMIO LETTERARIO

CITTà DI MESTRE 2024

 

 

Sul cavalletto "La chiave del dieci"

     

 

Contatti

albino.monteduro@gmail.com  -   info@montalbino.it  

 

 

☼  Premio Mestre 2020  ☼  Meet the Artists 

 Art Box  ☼  Upper  ☼  Premio Celeste 2013 

www.paroleallimite.it

     
     

Ringraziamenti a MESTRE DOMANI

 

Un sincero ringraziamento credo debba rivolgerlo alla Fondazione Mestre Domani che organizza e gestisce il Premio Letterario Città di Mestre. È difficile imbattersi, nel panorama italiano, in una iniziativa culturale così strutturata, eppure così efficace.

Chi si interessa di premi e concorsi letterari italiani, comprende bene quanto sia raro, interessante e ambìto un premio che ha come scopo primario quello di pubblicare e diffondere i libri vincitori e quanto sia meritorio che una Fondazione non-profit si dedichi, fra altro, a simili manifestazioni culturali.

é con autentica gratitudine (e senza piaggeria considerando che il mio romanzo è già tra i premiati!) che rivolgo un grazie di cuore alla Fondazione Mestre Domani, al suo Presidente, avv. Ugo Ticozzi, e a tutti coloro che, meritoriamente, la sostengono.

 

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CORRISPONDENZE

Ho conosciuto Daria. Daria Dell'Arte. Pittrice come me. Donna straordinaria e fantastica. Straordinaria perché intelligente e attenta alla cultura, anzi, alla Cultura (con la C maiuscola); fantastica perché frutto della mia fantasia: cioè di un dilettante (quale io sono) da sempre alla ricerca di una “amica di penna” (preferisco sia donna, mi stimola maggiormente!) con la quale intrecciare lo scambio delle idee, analizzare mestiere e tecniche, discutere argomenti, confrontare temi che più solleticano gli umani desideri.

Per un po’, utilizzerò questo spazio per scrivere a Daria (chiunque può intromettersi – so già che mai accadrà! – e rispondere o controbattere o esprimere qualsivoglia pensiero da indirizzare a: albino.monteduro@gmail.com

Si può fare o è un principio di pazzia? È ancora possibile usare parole e sentimenti per comunicare con altre persone (anche immaginarie) e relegare – finalmente! – la macchina solo a “mezzo per la trasmissione” invece che farla assurgere a “protagonista assoluta”? Si possono ancora usare le parole, i concetti, i contenuti e non le faccine, gli esclamativi, gli onomatopeici?

Proviamo…

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DARIA 4

 

Daria, sono felice di constatare che le mie indicazioni non ti siano sembrate segni di saccenteria o di prosopopea o chissà cos’altro… ed hai colto nel segno definendo le mie parole “critica costruttiva”. Ti prego tuttavia di credermi se affermo, con tutta la sincerità di cui sono capace, che per me tu sei una collega artista (e, a giudicare dalla chiarezza espressiva dei tuoi discorsi, anche molto perspicace) con la quale devo e intendo confrontarmi da pari a pari. 

Veniamo ai nostri argomenti! 

Vedi, Daria, credo che nel momento in cui uno di noi si accinge ad esprimersi artisticamente deve necessariamente porsi degli interrogativi e, per quanto complicato, deve obbligatoriamente giungere a delle conclusioni. Se ciò non dovesse costituire la premessa, vuol dire che si procederebbe al buio, stentando, rischiando perfino di rimanere a “metà del guado” (la sorte peggiore che possa capitare ad un artista).

Tutto ciò (introspezione, analisi, interpretazioni…) l'artista deve farlo da sé e per sé in completa solitudine (ecco perché, fin fine, ogni vero artista è autodidatta). Non per gli altri. Non per apparire. Onestamente. Mai per vanità!

Per esempio, si potrebbe partire col chiedersi: che cosa è l’arte? chi è l’artista? Possono esserci delle enunciazioni che riescano a chiarirne le funzioni, le azioni?

Ovviamente, pur sostenendo delle tesi, esse non saranno di certo univoche o valide sempre e per tutto. Quindi? Non c’è soluzione, non si può sapere cosa sia l’arte? l’artista?

Beh! Qualcosa si può dire! Ognuno per proprio conto lo dovrebbe scoprire. Per esempio, nel mio piccolo ho questa idea: l’arte è una delle attività umane che si esercita fuori dagli schemi (leggi: che non è possibile asservire); anzi, è più facile immaginarla come attività antisociale dell’uomo. Ma, paradossalmente, proprio qui è racchiuso il valore sociale dell’arte, nel suo essere antisociale! 

É vero che l’arte moderna, rispetto al pragmatismo dell’organizzazione umana (specie occidentale!), sembra essere inutile .

É vero che di per sé, l’arte non si mangia, non alleggerisce la fatica degli uffici quotidiani, non ha funzioni pratiche.

Eppure, sembra non se ne possa fare a meno all’interno di una Società (in qualsiasi geografia: Occidente, Oriente, Africa... la più sperduta isola del più remoto arcipelago della Terra).

Ha una funzione che appare analoga a quella del sogno per l’individuo. Infatti, il sogno è liberatorio; esprime il represso; realizza, in astratto, i desideri. Insomma, soddisfa l’inconscio di chi sogna. Da ciò discende che l’arte compie la stessa funzione per l’inconscio della Collettività. E proprio come il sogno agisce da valvola di sfogo per il singolo, così l’arte funziona come meccanismo liberatorio per la totalità degli individui.

E l’artista?

All’artista è riservato il difficilissimo compito dell’interprete, del medium…

L’artista deve essere in grado di cogliere gli stimoli del proprio tempo (i desideri, le ansie, i turbamenti, …), analizzarli, interpretarli, viverli (se possibile) e poi trovare una modalità per esprimerli… ecco un’altra difficoltà: trovare il procedimento per esprimersi (credo sia – e sia stato – il problema principe di ogni artista sulla terra!). Tutti abbiamo provato lo smarrimento della tela vuota, del foglio bianco, dello strumento musicale muto.

In sintesi (come anche tu sostieni): l’artista è l’interprete del proprio tempo; l’arte ne è il prodotto

Come funziona per te? Hai già risolto queste premesse? 

Sai, Daria, mi colpisce la sincerità con cui ti esprimi. Talmente mi colpisce, che mi fa venire voglia di parlare con te, di sbilanciarmi con te. Non devi credere che capiti spesso di avviare una conversazione di una tale difficoltà con chicchessia.

Saperne di più? Sicurezze? Carreggiate solide? Ma no, cara Daria! Siamo tutti al nastro di partenza… sempre!

Nessuno, serio ed onesto, è mai davanti ad altri o è più sicuro di altri o ha più certezze di altri. Non esiste il pittore tematico: degli uomini, delle donne, dei fiumi, dei laghi, del sentimento… l’artista è in fieri ed è disponibile ad ogni esperienza espressiva. E l’opera è proprio nel magma di quella pazzia che tu temi. Figura, materia, natura che si riappropria degli spazi rubati, vulcani che eruttano sangue della terra, corpi che si intrecciano nell’amore… 

Spero di non spaventarti, ma credo che non ci siano tante, altre parole per esprimere simili concetti. 

Alla prossima. Ti voglio bene!

 

 

Vai a leggere Daria 1

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Vai a leggere Daria 3

 

 

PITTURA D’AUTUNNO

 

Lo aveva immaginato per intero. Prima volta assoluta. Era un quadro autunnale, in uno di quei giorni di svolta delle stagioni.

Le foglie accartocciate dell’ippocastano, d’un verde nerastro, ancora attaccate ai rami, che si stracciavano al vento rabbioso di una mattinata fresca e limpida; o si staccavano e svolazzavano libere per poi posarsi sul prato a intricarsi con i fili d’erba; o si quietavano, appesantite dall’acqua, sulla superficie del lago anche lui agitato e marezzato dal vento.

Una serie di altre presenze pensate per arricchire l’opera. La caraffa sbeccata ricolma di terra a contenere lo stelo spinoso e rachitico di una ignota piantina; le losanghe multicolori di una lanetta rasata, impigliata nel fil di ferro intorno a una canna e che era stata un maglione sgargiante; il manufatto metallico di un congegno meccanico adagiato sul terreno incolto e già tutto imbrigliato da implacabili graminacee; la sagoma grigiastra di una tortora dal collare nella cesta sbrindellata di vimini, ricolma di paglia e polistirolo da imballo.

Tutto se lo era figurato quel quadro e ora cercava la dimensione, la tela giusta; ce ne voleva una quadrata, grande, centoventi per centoventi. Vi avrebbe riportato pari pari il progetto, iniziando col dare un fondo neutro: una terra, un verde marcio… Era stato per ore con gli occhi socchiusi a vagheggiare. A lisciarsi la barbetta ispida sul mento e a continuare a rifinirlo nei particolari.

A un dato momento, gli sembrò di aver maturato un metodo più rispondente al proprio sentire e, per lui, inedito. Di aver aggiunto alla pratica quotidiana una maniera più evoluta di lavorare… come accade, forse, agli artisti più esperti.

Non fece più caso al mondo; solo le immagini gli volteggiavano in testa.

Sciolse in un vasetto della terra verde antica Van Dyck insieme a un medium di olio di lino e trementina. Amalgamò moltissimo fino a ottenere uno smalto mieloso, satinato, di un verde tendente al marrone. Lo spalmò meticolosamente, uniformemente sulla tela posta in orizzontale, poggiata per terra in un angolo della studio.

È così che si deve principiare” pensò “alla base ci deve essere sempre la terra, come nel mondo reale”.

 

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Dilettiamoci con i contenuti

di ogni tipo di libro che ci attrae

(e non facciamoci impressionare dal rotacismo!)

 

Ho scoperto di avere una sola alternativa; non due come comunemente si sostiene, ma una: posso essere solamente fedele lettore dei libri di Lorsignori.

L’ho appreso tempo fa alla radio, in macchina, mentre tornavo da un viaggio e ascoltavo per caso un programma per appassionati di letteratura che trattava di editoria, libri, autori, lettori.

Da un’emittente nazionale, una signorina e un signore attempato (così dalla voce!), molto eruditi ovviamente, mi hanno rivelato l’esistenza di certi abusi perpetrati quotidianamente ai danni dell'industria editoriale e mi hanno anche caldamente suggerito l'incombenza riparatrice che ho citato sopra: leggere solo autori noti e libri stampati da case editrici con acclarate qualità editoriali.

La signorina e il signore – linguaggio fluente, erre moscia, citazioni brillanti – conversando con falsa bonomia, hanno interpretato le parti intramontabili dei poliziotti dei telefilm americani: la cattiva e il buono. La cattiva affermava che, dato il proliferare di sistemi di auto-pubblicazione (lei, ovviamente, inglesizzava self-plublishing), oggi scrivono in troppi, si pubblica troppo: «Se tutti scrivono, finirà che non leggerà più nessuno; come faranno poi i grandi scrittori a continuare a guadagnare e a deliziarci con le loro straordinarie opere nuove? E cosa avranno, poi, da scrivere e pubblicare gli intrepidi del self-plublishing? Romanzetti, cosucce provinciali, scialbe, insignificanti, disseminati di svarioni tremendi. Occorrerebbe dapprima sottoporre codesti avventati all’esame di lingua italiana; dare un’occhiata all’uso dei congiuntivi, dei termini. E la sintassi? e l’ortografia? Non ne parliamo!». Così si esprimeva la signorina. E il signore (poliziotto buono) rispondeva: «Ma no, ma no! Non si deve essere così drastici. D’altra parte la pluralità è divertente, tanto poi il bravo lettore saprà discernere, saprà cosa leggere: sceglierà i veri autori (leggi: i soliti noti) e i bei libri (leggi: delle solite case editrici)».

Mi ha colpito la sensibilità di quei conduttori. L’apertura mentale. Pensate se con i loro discorsi avessero tarpato le ali a un Hugh Howey, oggi uno dei più amati scrittori americani di fantascienza. O se avessero intimidito con le loro chiacchiere un’Amanda Hocking, che al momento vende milioni di libri ed E-book. Oppure se avessero fatto tentennare la nostra Anna Premoli, che ha vinto il Bancarella del 2013 pubblicando dapprima sulla piattaforma Narcissus.

Insomma, quanto ristretta sia la visione di cronisti autorizzati a trattare argomenti così delicati e complessi e, soprattutto, quanto scarsa sia la loro considerazione verso il lavoro di altri, quel farne di tutta l’erba… E mi sono auto-subissato di domande: «Ma chi bip sono questi esseri così illuminati e altruisti?

«A quale schiatta appartengono degli intellettuali tanto sapienti?

«Vengono anche retribuiti per esprimere tali idee alla radio?

«Chi consegna nelle loro mani i microfoni?

«Chi attribuisce loro la facoltà di patentare scrittori? »

E poi, all’emergere di nuovi dubbi e tormenti: «Non sono per caso quei bei signori che hanno avuto tutto dalla vita? Insomma, Lorsignori!?

«Non sono, per caso, i figli d’arte (o di papà) che per la bravura, di solito congenita in rampolli così generati, hanno avuto diritto di accesso a quei famosi microfoni?

Forse no, vai a saperlo!

Ma certamente non sono quelli che devono lavorare per guadagnare abbastanza per pagare bollette. Quelli che mantengono famiglie nelle case in affitto, non sempre riscaldate a dovere, dove spesso qualcuno contrae quella bronchitella noiosa, curata male da medici condotti non proprio preparatissimi – ma i soli disponibili quaggiù, tra comuni mortali.

Non sono sicuramente quelli che hanno completato il loro manoscritto – rubacchiando tempo qua e là – con determinazione e sentimento e quando lo hanno inviato alla casa editrice, sono stati invitati a stampare a proprie spese: «Perché la programmazione editoriale di quest’anno è ormai al completo. Ci dispiace!».

Certo che sono al completo! Lorsignori hanno già occupato i pochi spazi disponibili e non c’è trippa per gatti o per avventurieri della penna o per chi disturba i veri manovratori. Infatti, solo Lorsignori sono gli unici attori deputati a scrivere e a stampare le loro meravigliose storie frutto dell'italiano perfetto i cui assaggi d’ascolto, letti nelle serate letterarie tenute in librerie accreditate e replicate nelle televisioni, talkshow, parate mondane e in ogni altra buona occasione, risuonano gravi, belanti e impreziositi dalla nobile, ammaliante erre francese.                   

 Albino Monteduro

  

     
     

 

 

 

 

     
     

 

 

   
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     

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PESCE PLASTICA

(Olio su tela 100 X130)

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LA MASCHERA BIANCA

 

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TRA I ROTTAMI IL NIDO

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DARIA 1

Daria carissima,

                             certo che sono preoccupato per il lavoro che manca e/o si precarizza (soprattutto per i giovani)! Ma, sai, non si tratta di pietismo o di qualcosa del genere, in realtà è rabbia. I soliti priblemi della prevaricazione, degli egoismi, di marca tutta italica, che infestano ogni settore del nostro Paese.

Sono stato giovane a Milano, negli anni Settanta, gli anni dell’università. Allora, senza farsi cogliere di sorpresa dalla storia, sono stati in tanti che hanno rifiutato di assoggettarsi alle angherie del potere e i più puri hanno sostenuto tali propositi  a qualunque costo, perfino col sacrificio. Alcuni, coerenti e leali, hanno lottato e pagato in prima persona: spesso, con disagi; talvolta, con la galera; qualche altra volta, perfino con la vita.

Ovviamente, non sempre è stato così e non dappertutto, anzi con dei distinguo che spesso hanno condotto verso forme eccessive di protesta, tuttavia con l’intenzione (la speranza?) di migliorare il Mondo. Anch’io ho vissuto al “fronte”, come dico spesso, (in quei tempi bastava stare a Milano!) ed anch’io ho dato il mio contributo. Purtroppo però, non si è approdati a nulla. Dopo qualche risultato, in pochissimi decenni, tutto è sfumato... e siamo scivolati ancora più in basso!

Per questo, oggi, sono con te a sostenere le stesse idee... ed anche perché mi piaci, o meglio, mi piace il tuo modo civile di rapportarti, seppure su temi così spinosi. E poi, mi piace l’atmosfera dolce che c’è intorno alla tua espressività pittorica. Non tanto le opere, sono sincero, quanto il tuo coraggio, i propositi, le tue speranze: giovanili e, quindi, appassionate. Coraggio e passione, un binomio avvincente e vincente: sono certo che progredirai moltissimo.

Parlarti di me? Beh, Daria, non c’è molto da dire. Si può semplificare dicendo, senza mezze misure, che sono un orso!

Ho una donna e un figlio (che ha già una sua vita). Inoltre, possiedo una casa-studio, vicinissima al mare. È il mio rifugio. È lì che vado quando ho bisogno di lavorare sodo. Per esempio, penso di recarmi lì nelle prossime settimane per concentrarmi sull’ultima stesura del nuovo romanzo.

 Per adesso non mi viene in mente altro, caso mai mi dilungherò in altre occasioni. Nel frattempo ti prego di tenermi informato.

Un abbraccio fraterno e a presto!

 

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DARIA 2

Daria, mia cara,

credo di non aver saputo esprimere compiutamente con il testo della mia ultima lettera ciò che intendevo dirti davvero. È probabile che qualche frase sia stata poco comprensibile o espressa in modo non completo. Per esempio, potrebbe essere stata poco chiara la mia affermazione: «Se vuoi, d’ora in avanti, possiamo darci vicendevolmente una mano per tentare di progredire e per affrontare insieme il terreno ostico dell’Arte».

Darsi vicendevolmente una mano non è, in effetti, una frase completa e, giustamente, tu hai un po’ titubato chiedendomene spiegazione. Per esempio, uno dei tre aspetti a cui mi riferisco riguarda la modalità di allestire una mostra personale. Perché ciò non diventi un’attività sprecata – o anche dannosa – per un artista, non è l’impresa più facile del mondo. Quali proposte accettare tra quelle che continuamente ci pervengono? Quali spazi usare? A quali condizioni non si dovrebbe mai rinunciare?…

“Sì! — ribatterai, — se prima di fare una mostra dovessi valutare tutto ciò, col cavolo che riuscirei ad esporre!”

“Esatto! — ti risponderei, — a certe condizioni non devi esporre! Non si espone da un affittacamere; non si espone in una struttura inadeguata (pensa alle mostre senza la luce o, peggio ancora, con le luci al neon: che disastro per le opere!). Mai si espone per una finalità, anche solo vagamente, politicizzata”.

Mi chiedi inoltre: «Progredirò in cosa? In campo artistico?»

Certo che è inteso in campo artistico! Ed è il secondo aspetto che volevo sottolinearti. Tu stessa, nella comunicazione precedente, hai affermato: «Sono ancora alla ricerca di un mio linguaggio definitivo, di un mio stile proprio e ben definito e se pur abbastanza chiaro il percorso, mi è abbastanza scarso il tempo e faccio ancora fatica a definire la strada con carreggiate solide e tutte uguali».

In soldoni hai inteso comunicarmi: sono in un momento di gran confusione, aggravato dalla mancanza di tempo da dedicare alla pittura. Ed ecco perché nell’ultima lettera, dopo averti riconosciuto coraggio e passione, ti auguravo una specie di  ad maiora semper che, secondo me, tu meriti sinceramente.

Mi piace la tua pittura? Certo che mi piace! Probabilmente, non proprio tutto… valutazione che potrebbe valere per chiunque altro, d'altronde!

Alcuni anni fa, ho letto un libro di Giorgio Soavi (uno dei critici italiani più raffinati e colti), che titolava: MA PICASSO ERA BRAVO?

Nel libro si racconta di una visita effettuata da Soavi all’atelier di Picasso quando quest’ultimo si trovava sulla Côte d’Azur. Dopo qualche mese che ne faceva richiesta, finalmente l’artista, al culmine della sua notorietà, si decise ad ammettere in casa il critico.

Soavi racconta che Picasso lo introdusse nell’enorme laboratorio pittorico polifunzionale (come sai, è proverbiale la versatilità del Catalano) e si mise a mostrargli le opere (quelle pittoriche soprattutto collocate sulle vaste pareti dello studio). Mostrandole velocemente, le indicava così: «Questa non è tanto bella; questa è cattiva; questa non è buona; QUESTA È BUONA!; questa è cattiva; questa non è il massimo; QUESTA È BUONA!; questa non è tanto bella; questa è cattiva; QUESTA È BUONA!; ecc. ecc.». Ad un punto, a Soavi venne da fare una domanda: «Maestro! – chiese a Picasso – ma se lei sa già che un quadro è cattivo, perché lo conserva insieme agli altri?». Picasso, a cui non mancava certamente la favella, pare che abbia risposto: «Caro Giorgio, è stato proprio grazie a quei quadri cattivi che ho potuto fare i buoni. Quindi, anche quelli hanno tutto il diritto di stare con gli altri!». Ecco il terzo aspetto! Il lavoro continuo e costante ad ogni costo, con qualsiasi risultato. Prima o poi, la qualità del nostro lavoro migliorerà.

Spero di non averti annoiata e di essermi spiegato meglio sul concetto di darsi una mano.

A presto, Daria. A presto…

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DARIA 3

 

Oh, Daria! Mi hai comunicato la tua età, “Cinquant’anni!!!” mi hai scritto e hai farcito con punti esclamativi che in certi linguaggi moderni - utilizzati specie nei cosiddetti social - vogliono rimarcare che quegli anni sono tanti. Epperò, sono colpito lo stesso: per me, sei poco più di una ragazza - come ben sai, tutto è sempre relativo.

A proposito di relatività, mi ha un po’ sorpreso anche il tuo imprinting scientifico, (mi scrivevi recentemente che, agli studi liceali, hai conseguito la maturità scientifica e che solo la necessità di avviarti al lavoro ti ha impedito di frequentare ingegneria) ma, a pensarci bene, piacevolmente. Devi sapere che nei confronti di chi conosce, padroneggia e pratica quelle che si definiscono scienze esatte (oppure le tecnologie in genere che tendono ad essere sempre più invasive nella nostra esistenza) nutro, da sempre, una specie di ammirazione. Bada! Ammirazione non invidia (per fortuna, l’invidia è un sentimento che non mi è mai appartenuto). Mi succede perché sono convinto di aver trascurato, per le mie preferenze umanistiche, in particolare, lo studio della matematica. Carenza grave in realtà, specie dopo aver compreso, proprio attraverso lo studio dell’arte, che nella storia umana occidentale i periodi più grandiosi sono stati quelli in cui Arte e Scienza hanno coabitato (penso al classicismo greco, al canone policleteo, a Piero, all’Alberti, al rinascimento maturo, al vedutismo veneto, alle regole ottiche del divisionismo… perfino all’uso massiccio di tecnologie in vasti settori dell’arte contemporanea!). E poi mi affascina l’universo con le sue regole di matematica pura, seppure fondate sull’assoluta semplicità. Tutto qui il mio rimpianto… mi sconvolge pensare al cosmo come ad un regno perfetto dove tutto, a conoscerlo, è perfettamente prevedibile o riconducibile ad un precisissimo risultato, e ad una terra dove, se metti un piede in fallo, puoi indifferentemente sbucciarti un ginocchio o morire…

Per fortuna c’è l’amore! (è quel che dico per consolarmi). Perché sulla terra la vita sarà pure più complicata, ma esiste lo straordinario sentimento dell’amore che compensa (almeno in parte) tante altre tristezze dell’esistenza.

Vedi, Daria, com’è ovvio ognuno di noi ha percezioni personali dell’amore. Di tutto l’amore, in ogni forma, di ogni intensità… sai, spero non ti meravigli se la mia visione preveda che ad un artista occorra anche amore perché sia fecondo, perché possa acquisire forza – come Anteo da madre-Terra.

L’amore… o il dolore!

Incredibilmente, considero entrambi i due stati collaboranti a fornire energia creativa. Per carità, nessuna mitizzazione o sublimazione o cacchiate del genere; amore, dolore, energia creativa, forza, opera… tutto con iniziali minuscole! Tuttavia…

Ti abbraccio, mia giovane amica.  

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Ultimo Aggiornamento: 01/05/2013 - Albino Monteduro