Ringraziamenti a MESTRE DOMANI
Un sincero ringraziamento credo debba
rivolgerlo alla Fondazione Mestre Domani che organizza e gestisce
il Premio Letterario Città di Mestre. È difficile imbattersi, nel
panorama italiano, in una iniziativa culturale così strutturata, eppure
così efficace.
Chi si interessa di
premi e concorsi letterari italiani, comprende bene quanto sia raro,
interessante e ambìto un premio che ha come scopo primario quello di
pubblicare e diffondere i libri vincitori e quanto sia meritorio che
una Fondazione non-profit si dedichi, fra altro, a simili
manifestazioni culturali.
é
con autentica gratitudine (e senza piaggeria considerando
che il mio romanzo è già tra i premiati!) che rivolgo un grazie di cuore
alla Fondazione Mestre Domani, al suo Presidente, avv. Ugo Ticozzi,
e a tutti coloro che, meritoriamente, la sostengono.
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CORRISPONDENZE
Ho conosciuto Daria. Daria Dell'Arte. Pittrice come me. Donna straordinaria
e fantastica. Straordinaria perché intelligente e attenta alla cultura,
anzi, alla Cultura (con la C maiuscola); fantastica perché frutto della mia
fantasia: cioè di un dilettante (quale io sono) da sempre alla ricerca di una
“amica di penna” (preferisco sia donna, mi stimola maggiormente!) con la
quale intrecciare lo scambio delle idee, analizzare mestiere e tecniche,
discutere argomenti, confrontare temi che più solleticano gli umani
desideri.
Per un po’, utilizzerò questo spazio per scrivere a Daria (chiunque può
intromettersi – so già che mai accadrà! – e rispondere o controbattere o
esprimere qualsivoglia pensiero da indirizzare a:
albino.monteduro@gmail.com
Si può fare o è un principio di pazzia? È ancora possibile usare parole e
sentimenti per comunicare con altre persone (anche immaginarie) e relegare –
finalmente! – la macchina solo a “mezzo per la trasmissione” invece che
farla assurgere a “protagonista assoluta”? Si possono ancora usare le
parole, i concetti, i contenuti e non le faccine, gli esclamativi, gli
onomatopeici?
Proviamo…
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DARIA 4
Daria, sono felice di constatare che le mie indicazioni non ti siano
sembrate segni di saccenteria o di prosopopea o chissà cos’altro… ed hai
colto nel segno definendo le mie parole “critica costruttiva”. Ti prego
tuttavia di credermi se affermo, con tutta la sincerità di cui sono capace,
che per me tu sei una collega artista (e, a giudicare dalla chiarezza
espressiva dei tuoi discorsi, anche molto perspicace) con la quale devo e
intendo confrontarmi da pari a pari.
Veniamo ai nostri argomenti!
Vedi, Daria, credo che nel momento in cui uno di noi si accinge ad
esprimersi artisticamente deve necessariamente porsi degli interrogativi e,
per quanto complicato, deve obbligatoriamente giungere a delle conclusioni.
Se ciò non dovesse costituire la premessa, vuol dire che si procederebbe al
buio, stentando, rischiando perfino di rimanere a “metà del guado” (la sorte
peggiore che possa capitare ad un artista).
Tutto ciò (introspezione, analisi, interpretazioni…) l'artista deve farlo
da sé e per sé in completa solitudine (ecco perché, fin fine, ogni vero
artista è autodidatta). Non per
gli altri. Non per apparire. Onestamente. Mai per vanità!
Per esempio, si potrebbe partire col chiedersi: che cosa è l’arte? chi è
l’artista? Possono esserci delle enunciazioni che riescano a chiarirne le
funzioni, le azioni?
Ovviamente, pur sostenendo delle tesi, esse non saranno di certo univoche o
valide sempre e per tutto. Quindi? Non c’è soluzione, non si può sapere cosa
sia l’arte? l’artista?
Beh! Qualcosa si può dire! Ognuno per proprio conto lo dovrebbe scoprire.
Per esempio, nel mio piccolo ho questa idea: l’arte è una delle attività
umane che si esercita fuori dagli schemi (leggi: che non è possibile
asservire); anzi, è più facile immaginarla come attività
antisociale
dell’uomo.
Ma, paradossalmente, proprio qui è racchiuso il valore sociale dell’arte,
nel suo essere antisociale!
É vero che l’arte moderna, rispetto al pragmatismo dell’organizzazione umana
(specie occidentale!), sembra essere inutile .
É vero che di per sé, l’arte non si mangia, non alleggerisce la fatica degli
uffici quotidiani, non ha funzioni pratiche.
E ppure, sembra non se ne possa
fare a meno all’interno di una Società (in qualsiasi geografia: Occidente,
Oriente, Africa... la più sperduta isola del più remoto arcipelago della
Terra).
Ha una funzione che appare analoga a quella del
sogno
per l’individuo. Infatti, il sogno è liberatorio; esprime il represso;
realizza, in astratto, i desideri. Insomma, soddisfa l’inconscio di chi
sogna. Da ciò discende che l’arte compie la stessa funzione per l’inconscio
della Collettività. E proprio come il sogno agisce da valvola di sfogo per
il singolo, così l’arte funziona come meccanismo liberatorio per la totalità
degli individui.
E l’artista?
All’artista è riservato il difficilissimo compito dell’interprete, del
medium…
L’artista deve essere in grado di cogliere gli stimoli del proprio tempo
(i desideri, le ansie, i turbamenti, …), analizzarli, interpretarli, viverli
(se possibile) e poi trovare una modalità per esprimerli… ecco un’altra
difficoltà: trovare il procedimento per esprimersi (credo sia – e sia
stato – il problema principe di ogni artista sulla terra!). Tutti abbiamo
provato lo smarrimento della tela vuota, del foglio bianco, dello strumento
musicale muto.
In sintesi (come anche tu sostieni): l’artista è l’interprete
del proprio tempo; l’arte ne è il
prodotto.
Come funziona per te? Hai già risolto queste premesse?
Sai, Daria, mi colpisce la sincerità con cui ti esprimi. Talmente mi
colpisce, che mi fa venire voglia di parlare con te, di sbilanciarmi con te.
Non devi credere che capiti spesso di avviare una conversazione di una tale
difficoltà con chicchessia.
Saperne di più? Sicurezze? Carreggiate solide? Ma no, cara Daria! Siamo
tutti al nastro di partenza… sempre!
Nessuno, serio ed onesto, è mai davanti ad altri o è più sicuro di altri
o ha più certezze di altri. Non esiste il pittore tematico: degli uomini,
delle donne, dei fiumi, dei laghi, del sentimento… l’artista è
in fieri
ed è disponibile ad ogni esperienza espressiva. E l’opera è proprio nel
magma di quella pazzia che tu temi. Figura, materia, natura che si
riappropria degli spazi rubati, vulcani che eruttano sangue della terra,
corpi che si intrecciano nell’amore…
Spero di non spaventarti, ma credo che non ci siano tante, altre parole per
esprimere simili concetti.
Alla prossima. Ti voglio bene!
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PITTURA D’AUTUNNO
Lo aveva immaginato per intero. Prima volta assoluta. Era un quadro
autunnale, in uno di quei giorni di svolta delle stagioni.
Le foglie accartocciate dell’ippocastano, d’un verde nerastro, ancora
attaccate ai rami, che si stracciavano al vento rabbioso di una mattinata
fresca e limpida; o si staccavano e svolazzavano libere per poi posarsi
sul prato a intricarsi con i fili d’erba; o si quietavano, appesantite
dall’acqua, sulla superficie del lago – anche
lui agitato e marezzato dal vento.
Una serie di altre presenze pensate per arricchire l’opera. La
caraffa sbeccata ricolma di terra a contenere lo stelo spinoso e rachitico
di una ignota piantina; le losanghe multicolori di una lanetta rasata,
impigliata nel fil di ferro intorno a una canna e che era stata un
maglione sgargiante; il manufatto metallico di un congegno meccanico
adagiato sul terreno incolto e già tutto imbrigliato da implacabili
graminacee; la sagoma grigiastra di una tortora dal collare nella
cesta sbrindellata di vimini, ricolma di paglia e polistirolo da imballo.
Tutto se lo era figurato quel quadro e ora cercava la dimensione, la tela
giusta; ce ne voleva una quadrata, grande, centoventi per centoventi. Vi
avrebbe riportato pari pari il progetto, iniziando col dare un fondo
neutro: una terra, un verde marcio… Era stato per ore con gli occhi
socchiusi a vagheggiare. A lisciarsi la barbetta ispida sul mento e a
continuare a rifinirlo nei particolari.
A un dato momento, gli sembrò di aver maturato un metodo più rispondente
al proprio sentire e, per lui, inedito. Di aver aggiunto alla pratica
quotidiana una maniera più evoluta di lavorare… come accade, forse, agli
artisti più esperti.
Non fece più caso al mondo; solo le immagini gli volteggiavano in testa.
Sciolse in un vasetto della terra verde antica Van Dyck insieme a
un medium di olio di lino e trementina. Amalgamò moltissimo fino a
ottenere uno smalto mieloso, satinato, di un verde tendente al marrone. Lo
spalmò meticolosamente, uniformemente sulla tela posta in orizzontale,
poggiata per terra in un angolo della studio.
“È così che si deve principiare” pensò “alla base ci deve essere
sempre la terra, come nel mondo reale”.
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Dilettiamoci
con i contenuti
di ogni tipo di libro che ci attrae
(e non facciamoci impressionare dal
rotacismo!)
Ho scoperto di avere una sola alternativa; non due come comunemente si
sostiene, ma una: posso essere solamente fedele lettore dei libri di
Lorsignori.
L’ho appreso tempo fa alla radio, in macchina, mentre tornavo da un
viaggio e ascoltavo per caso un programma per appassionati di
letteratura che trattava di editoria, libri, autori, lettori.
Da un’emittente nazionale, una signorina e un signore attempato (così
dalla voce!), molto eruditi ovviamente, mi hanno rivelato l’esistenza di
certi abusi perpetrati quotidianamente ai danni dell'industria
editoriale e mi hanno anche caldamente suggerito l'incombenza
riparatrice che ho citato sopra: leggere solo autori noti e libri
stampati da case editrici con acclarate qualità editoriali.
La signorina e il signore – linguaggio fluente, erre moscia, citazioni
brillanti – conversando con falsa bonomia, hanno interpretato le parti
intramontabili dei poliziotti dei telefilm americani: la cattiva
e il buono. La cattiva affermava che, dato il
proliferare di sistemi di auto-pubblicazione (lei, ovviamente,
inglesizzava self-plublishing), oggi scrivono in troppi, si
pubblica troppo: «Se tutti scrivono, finirà che non leggerà più nessuno;
come faranno poi i grandi scrittori a continuare a guadagnare e a
deliziarci con le loro straordinarie opere nuove? E cosa avranno, poi,
da scrivere e pubblicare gli intrepidi del self-plublishing?
Romanzetti, cosucce provinciali, scialbe, insignificanti, disseminati di
svarioni tremendi. Occorrerebbe dapprima sottoporre codesti avventati
all’esame di lingua italiana; dare un’occhiata all’uso dei congiuntivi,
dei termini. E la sintassi? e l’ortografia? Non ne parliamo!». Così si
esprimeva la signorina. E il signore (poliziotto buono)
rispondeva: «Ma no, ma no! Non si deve essere così drastici. D’altra
parte la pluralità è divertente, tanto poi il bravo lettore saprà
discernere, saprà cosa leggere: sceglierà i veri autori (leggi: i
soliti noti) e i bei libri (leggi: delle solite case editrici)».
Mi ha colpito la sensibilità di quei conduttori. L’apertura mentale.
Pensate se con i loro discorsi avessero tarpato le ali a un
Hugh Howey,
oggi uno dei più amati scrittori americani di fantascienza.
O se avessero intimidito con le loro chiacchiere un’Amanda
Hocking,
che al momento vende milioni di libri ed E-book. Oppure se
avessero fatto tentennare
la nostra Anna Premoli, che ha vinto il Bancarella del 2013
pubblicando dapprima sulla piattaforma Narcissus.
Insomma, quanto ristretta sia la visione di cronisti autorizzati a
trattare argomenti così delicati e complessi e, soprattutto, quanto
scarsa sia la loro considerazione verso il lavoro di altri, quel
farne di tutta l’erba… E mi sono auto-subissato di domande: «Ma chi
bip sono questi esseri così illuminati e altruisti?
«A quale schiatta appartengono degli intellettuali tanto sapienti?
«Vengono anche retribuiti per esprimere tali idee alla radio?
«Chi consegna nelle loro mani i microfoni?
«Chi attribuisce loro la facoltà di patentare scrittori? »
E poi, all’emergere di nuovi dubbi e tormenti: «Non sono per caso quei
bei signori che hanno avuto tutto dalla vita? Insomma, Lorsignori!?
«Non sono, per caso, i figli d’arte (o di papà) che per la bravura, di
solito congenita in rampolli così generati, hanno avuto diritto di
accesso a quei famosi microfoni?
Forse no, vai a saperlo!
Ma certamente non sono quelli che devono lavorare per guadagnare
abbastanza per pagare bollette. Quelli che mantengono famiglie nelle
case in affitto, non sempre riscaldate a dovere, dove spesso qualcuno
contrae quella bronchitella noiosa, curata male da medici condotti non
proprio preparatissimi – ma i soli disponibili quaggiù, tra comuni
mortali.
Non sono sicuramente quelli che hanno completato il loro manoscritto –
rubacchiando tempo qua e là – con determinazione e sentimento e quando
lo hanno inviato alla casa editrice, sono stati invitati a stampare a proprie
spese: «Perché la programmazione editoriale di quest’anno è ormai al
completo. Ci dispiace!».
Certo che sono al completo! Lorsignori hanno già occupato i pochi
spazi disponibili e non c’è trippa per gatti o per
avventurieri della penna o per chi disturba i veri
manovratori. Infatti, solo Lorsignori sono gli unici attori
deputati a scrivere e a stampare le loro meravigliose storie frutto
dell'italiano perfetto i cui assaggi d’ascolto, letti
nelle serate letterarie tenute in librerie accreditate e replicate nelle
televisioni, talkshow, parate mondane e in ogni altra buona
occasione, risuonano gravi, belanti e impreziositi dalla nobile,
ammaliante erre francese.
Albino
Monteduro
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